Catechesi giovani del 27 marzo 2011- la ricerca della felicità
ALLA RICERCA DELLA VERA FELICITA’ attraverso le Beatitudini del Vangelo di Luca
Qualcuno di noi ha detto:
“Non so se sto raggiungendo la felicità, di certo stanno accadendo cose che mi rendono molto più felice degli anni passati. Per me la felicità consiste nel stare bene con se stessi e raggiungere degli obiettivi, significa non rimpiangere quello che ti sta accadendo ed essere felici per le amicizie nuove e quelle che hai tenuto e non solo amicizie, in pratica felici del proprio presente e non rimpiangere il passato.”
“Credo che in questo periodo mi accontento di poco e trovo la felicità nelle piccole cose, non pensando alla felicità più importante (quello che intende il don). Quando sto bene con me stesso e con gli altri a me basta. Non credo di avere ricordi di momenti in cui sono felice stando da solo.”
“La felicità per me è un sinonimo del divertimento quindi io non ho un obiettivo vero e proprio. Spero in futuro di averlo.”
La vera felicità secondo il Vangelo delle beatitudini di Luca:
Incominciamo a riflettere sull'insieme del brano delle beatitudini, conosciuto anche dai non cristiani; sappiamo, ad esempio, che Gandhi lo citava spesso, e così pure altri personaggi del mondo non cristiano. Quante sono le beatitudini secondo Matteo? Talora si risponde che sono otto, ma se le contiamo attentamente ci accorgiamo che in realtà sono nove:
«Beati ipoveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia...» (Mt 5, 3-12).
Le prime otto beatitudini hanno una forma letteraria omogenea, sono tutte alla terza persona plurale: beati coloro che sono poveri, afflitti, miti, misericordiosi ecc. La felicità è attribuita a chi ha o vive un determinato atteggiamento. La nona, invece, costituisce un appellativo diretto, alla seconda persona plurale: beati voi e ricorda la forma letteraria delle quattro beatitudini secondo Luca.
L'omogeneità tra le prime otto, inoltre, è sottolineata dal fatto che la prima - povertà di spirito - e l'ottava - perseguitati per causa della giustizia - terminano con la menzione del regno dei cieli. Quasi a dire che il regno dei cieli fa da cornice agli otto versetti.
E ancora, le otto beatitudini possono essere divise in due gruppi di quattro, perché ciascun gruppo termina con un'altra parola-chiave, la giustizia.
Possiamo allora cercare di comprendere il significato dei termini più evidenziati — beati, regno dei cieli, giustizia - per meglio gustare le singole beatitudini.
Per riflettere su alcune parole che riguardano la propria vita:
Regno dei cieli
Con l'evocazione misteriosa dei 'cieli' si intende Dio, colui che abita i cieli: regno dei cieli equivale a 'regno di Dio'.
Ma che cos'è questo regno la cui venuta continuiamo a invocare nella recita del Padre Nostro?
Dobbiamo subito sbarazzarci di un equivoco. Parlando di 'regno' pensiamo di solito a un luogo, al territorio dove qualcuno regna. Tuttavia il termine greco vuoi dire invece l'azione del regnare; il regno è la regalità, il regnare di Dio.Regno significa un intervento potente di Dio che viene incontro all'uomo.
Ciò che dovremmo cogliere - mentre spesso lo dimentichiamo - è che Dio viene con il suo regnare incontro a noi in maniera sovrabbondante, superando tutte le nostre speranze e le nostre attese. E’ dunque facile e insieme difficile rispondere alla domanda: che cos'è il regno?
Perché il regno è vasto quanto vasta è l'azione di Dio su di noi, quanto grande è il suo amore per noi, quanto infinita è la potenza di Dio che si esprime nella storia, al di là della storia, nella eternità. È vero che il regno viene incontro ai nostri bisogni, ai nostri desideri - desideri di compagnia, di amicizia, di verità, di amore, di salute, di vita -, ma non li interpreta in maniera superficiale, come noi li esprimiamo magari nella preghiera («Signore, fammi guarire, fammi star bene!»). Dio accoglie tutto questo nel suo regno, e però ci dona molto di più.Nessuna forza o attesa umana può delimitare, restringere, circoscrivere, catturare questa azione salvatrice di Dio, che supera ogni attesa e tuttavia, con amore paterno, previene e colma tutte le attese.
Perciò, domandando 'venga il tuo regno!', noi chiediamo qualcosa che è al di là di ciò che possiamo immaginare, anche se tutti i nostri desideri di bene e di gioia vi sono inclusi.
Giustizia
II regnare di Dio si può descrivere anche come un'azione che rimette ogni cosa al posto giusto, che tiene conto di ogni realtà, rende giustizia a ciascuno e anzi raggiunge la perfetta realizzazione di ogni aspirazione e desiderio, colma ogni attesa e misura umana.
La colma in modo vero, autentico e, in questo senso, l'attività di Dio che instaura il regno si può chiamare, con termine biblico, giustizia, perché rimette tutto in perfetto ordine, nella perfetta misura. Non, naturalmente, la misura meschina delle bilance umane, bensì quella sovrabbondante, misericordiosa e salvatrice della bontà divina.
Beati
Noi consideriamo beati coloro che la Chiesa proclama tali. Il termine 'beati', però, non è inteso in questo senso dalla pagina evangelica. Sarebbe meglio tradurlo 'felici' per comprendere pienamente il pensiero di Gesù.
'Beati, felici, fortunati' indica, il valore etico o religioso di una determinata situazione o di un determinato atteggiamento.
Nel nostro brano, Gesù vuole sottolineare il valore di alcune situazioni umane: la povertà di spirito, l'afflizione, la mitezza, la misericordia, la purezza di cuore, la fame e la sete della giustizia. Potremmo dire che la parola 'beati' costituisce un'antropologia, una descrizione di che cosa è davvero l'uomo felice, vero, autentico.
Le beatitudini sono dunque la proclamazione del modo di essere uomini evangelici, discepoli autentici di Gesù, uomini e donne fortunate e felici.
Confrontiamoci con un po’ di domande?
Quando recito la preghiera del Padre Nostro, mi accorgo che il Signore, regna davvero su di me?
La mia vita è a posto? Sono giuste le mie azioni? E io sono felice?
Ritengo molto importante quest'ultima domanda: sono felice? sono contento, davanti al Signore, della mia vita?
Se rispondo affermativamente, perché sono felice?
E se rispondo negativamente, perché non sono felice?
«BEATI I POVERI IN SPIRITO»
Gesù proclama «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3).
Sul tema della povertà si parla molto, ma lo si comprende poco. La gente pensa che povertà evangelica significhi semplicemente disprezzo dei beni della terra, magari addirittura esaltazione della indigenza, della miseria, dell'accattonaggio. Talora, la ricerca della povertà evangelica diventa causa di tensioni tra i cristiani che si chiedono: dov'è la povertà della Chiesa? In quale modo bisogna essere poveri?
Chi sono i poveri?
II versetto di Matteo è brevissimo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli».
1. Chi sono dunque questi poveri? Il termine greco, usato nella pagina evangelica, è ptochòi e ha un corrispondente nella lingua italiana: la parola 'pitocchi', poco usata però espressiva. Essa indica coloro che non hanno nulla, i mendicanti, gli indigenti, i poveri nel senso materiale.
Nel nostro testo, tuttavia, la parola è accompagnata da una qualificazione importante: in spirito.
Gesù, in realtà, riprende la parola 'povero' non nel senso fisico di indigenza totale o quasi totale, che ha nel vocabolario corrente, bensì nei suoi valori interiori che troviamo già nell'Antico Testamento. Tipico, in proposito, un passo del profeta Sofonia: «Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l'umiltà» (Sof 2, 3).'Voi tutti poveri della terra viene pure tradotto (ed è tra l'altro il vero significato del termine ebraico) 'voi tutti umili della terra.
I poveri, gli umili, sono, per Sofonia e per altri profeti dell'Antico Testamento, gli Israeliti che avevano perduto la loro indipendenza politica. Erano umiliati, impoveriti anche esteriormente dalle conquiste straniere, e avevano imparato a vivere la nuova condizione sottomessi alla volontà di Dio, fiduciosi nella sua provvidenza sapendo che Jhwh li avrebbe aiutati.
'Poveri', nell'accentuazione soprattutto di Matteo, indica coloro che non contano sulle proprie forze perché hanno ben poco di cui gloriarsi o a cui appoggiarsi, ma sono certi del Signore, della sua bontà, della sua potenza, della sua misericordia.
2. Si comprende, di conseguenza, la seconda parte del versetto: «perché di essi è il regno dei deli».
Avendo posto in Dio ogni speranza, non fidandosi di sé, sono disponibili alla buona notizia di Gesù, al suo Vangelo. Chi possiede molto, materialmente e moralmente, chi è sicuro di sé, barricato nei suoi privilegi e in tutto ciò che ha e che è, teme sempre di essere disturbato, di veder vacillare il trono che si è conquistato. Si chiude allora, come un riccio, di fronte alla proposta nuova e coraggiosa di Cristo Gesù.
Chi invece ha imparato a non contare su se stesso, chi ha imparato a conoscere la fragilità umana e quella di tutte le realtà cui cerchiamo di aggrapparci, è aperto alla novità del regno. Il regno è già suo, in qualche modo, perché è disposto a riceverlo volentieri e con gioia, perché accoglie la parola di Gesù come parola che rassicura, conforta, dona serenità e speranza.
L'atteggiamento che il Signore ci chiede
Qual è dunque il messaggio della prima beatitudine? Per coglierlo meglio vorrei riportare alcune altre parole o ricordare alcuni atteggiamenti che nei vangeli designano, pur con termini diversi, coloro che sono poveri in spirito. Soprattutto penso a tre occorrenze neotestamentarie. Ovviamente le grandi parole bibliche non sono mai definibili geometricamente o matematicamente, perché si riferiscono alle profondità del cuore, a tutta la ricchezza inferiore nella quale si vivono simultaneamente diversi atteggiamenti.
1. «Se voi non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 2).
I bambini. Il vocabolo greco paidiòn significa quel ragazzino tra i tre e gli otto anni che si fida, che è semplice, col quale si gioca volentieri, che si abbandona in tutto ai genitori, che si lascia fare. Indica dunque l'atteggiamento dell'uomo di fronte a Dio per entrare nel regno, per riceverlo.
2. «Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11, 25).
I piccoli. Il riferimento a questi piccoli non vuol dire che la rivelazione divina viene fatta a chi non ha neppure la coscienza espressiva di sé; vuol dire che, a preferenza di coloro che credono di sapere molto, di essere ricchi di cultura e di dottrina, di non aver bisogno di imparare alcunché da nessuno, le realtà di Dio sono rivelate a quelli che sanno di sapere poco e di dover imparare molto.
3. «Ha guardato all'umiltà della sua serva... ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Mt 19,30).
Gli umili. Coloro che pretendono di primeggiare, di spingere, di farsi largo schiacciando gli altri, non sono prediletti a Dio. Lo sono, al contrario, quelli che accettano umilmente la loro condizione, pur se non è brillante, fidandosi di Dio, mettendosi nelle sue mani, sapendo che lui solo è immensamente più grande di qualsiasi persona.
Possiamo cogliere il messaggio per noi, l'atteggiamento che il Signore ci chiede. È l'atteggiamento che spalanca il nostro cuore al mistero di Dio, che ci rende semplici, non tronfi di quanto possediamo, che ci fa capaci di affidamento, di abbandono, di attesa di Dio.
Misurarsi con le propria povertà
Ponendoci quattro rapidissime domande.
- Ho pretese esorbitanti?
- Mi lamento degli altri, voglio che tutti mi servano, e quando non sono servito - a casa, in ufficio, al lavoro - sono pronto a criticare?
- So impormi qualche austerità?
- So accettare quei piccoli segni di povertà che ci toccano un po' sempre?
Anche se abbiamo dei soldi, ci sono in realtà delle povertà che raggiungono tutti: la povertà della salute, piccole indisposizioni ecc. Certe volte ci arrabbiamo per queste cose, ci arrovelliamo, mentre potremmo viverle partecipando alla condizione di povertà di tanta parte dell'umanità e mettendoci in stato di ascolto e di disponibilità del messaggio di Gesù.
So accettare dunque qualche segno della mia povertà e fragilità? Segni semplici, come quello di perdere tempo per altri, per servizi che sembrano inutili, quando per esempio si aspetta a lungo la metropolitana o l'autobus stando al freddo; quando si fa la coda agli sportelli degli uffici, quando il treno è in ritardo, quando in ospedale si deve attendere per ore e ore il proprio turno di visita. Talora può essere giusto irritarci per le lentezze della burocrazia; ma non dobbiamo permettere che dentro di noi si instauri una situazione di amarezza, di scontentezza, che alla fine rode il cuore.
Piuttosto, impariamo a dire: «Signore, in qualche modo sto partecipando alla tua povertà, entro nella logica del non poter avere tutto e subito, comprendo che ho bisogno di tanto, ho bisogno di tutto da te».