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Mar
07
2011

Ripresa del discorso sulla Legalità dopo l'incontro con Nando Dalla Chiesa

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Ripresa del discorso sulla Legalità e responsabilità sociale.

“Il mondo, in una certa misura, va nella direzione in cui noi vogliamo che vada (anche nella subordinata forma del ‘permettiamo’).Ciascuno di noi è responsabile per qualche grado di questa direzione, secondo l’inclinazione che attraversa la nostra quotidianità e che possiamo cambiare con le nostre scelte e il nostro agire.Nelle piccole e nelle grandi cose: nell’accettare di non fare o di non pretendere una fattura, di chiedere o non chiedere un permesso che una norma impone, di rispettare o meno i diritti del nostro prossimo, o per esempio delegando ad altri le scelte che dovrebbero impegnarci.Questo è il ‘potere’ che ha ciascuno di noi.”

U. Ambrosoli, Qualunque cosa succeda, Sironi Editore 2009, pag. 314

La convergenza, di Nando dalla Chiesa

Quale è la vera forza della mafia o, meglio, delle varie mafie? Come hanno fatto a mantenere, anzi a consolidare la loro forza, nonostante i passaggi da una Repubblica all'altra, la caduta dei governi e del muro di Berlino? Cosa rende le mafie così forti sia come realtà criminale, sia economica, sia politica?

La forza della mafia, sta al di fuori della mafia. Si tratta delle convergenze, gli interessi comuni, talvolta consapevoli ma anche inconsapevoli, degli interessi mafiosi e di quelli del mondo politico, imprenditoriale, del mondo dell'informazione, della finanza sporca, delle gerarchie ecclesiastiche dei gruppi d'affari e della massoneria. Cosa rende la mafia così forte? Sono cinque le cause evidenti. La sua impunità: il fatto che per anni non sia esistita una legislatura specifica per il fenomeno mafioso. Che per arrivare alla legge Rognoni La Torre ci sia dovuto essere l'assassinio di Pio La Torre e del prefetto Dalla Chiesa. Per il 41 bis e la legge sui pentiti, si sia dovuto avere il sacrificio dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La legittimità: questo avviene quando un mafioso conosciuto può girare impunito per il paese; quando ad un mafioso viene dato dell'eroe; quando viene scarcerato per insufficienza di prove, per scadenza dei termini, per dei vizi procedurali. Quando il boss va a braccetto col sindaco, telefona all'assessore o al presidente. Così si legittima la mafia. La sua invisibilità materiale, ossia l'idea che la mafia non esiste o che non esiste qui. Come una volta si diceva al sud, come oggi si dice di molte regioni del nord, dove invece vige la stessa omertà già conosciuta dei quartieri di Palermo. La sua invisibilità concettuale: l'incapacità di distinguerla dal clientelismo o dalla delinquenza comune. Scoppia un bar o un cinema a Milano, e si dice che è stato uno scherzo. E forse è mafia. La  sua espansività: le mafie hanno colonizzato il nord, la ndrangheta ha contatti in sudamerica, nei paesi dell'est, negli Stati Uniti. Quando trova, sul territorio, le convergenze e le porte giuste, è un mostro che non si ferma né si sazia mai. Apparentemente in contrasto (come può essere invisibile e legittimata), questi punti si spiegano grazie al fatto che la cultura mafiosa ha saputo adattarsi ai cambiamenti, darsi delle giustificazioni storiche (c'è la mafia dove non c'è lo stato, mentre in realtà la mafia trova spazio proprio dove lo stato ha comportamenti convergenti con essa.

Dal discorso di commiato del Card. Martini alla città di Milano:

«È sempre alla piccolezza e alla inadeguatezza che viene offerta la grazia: piccolissimo è il granello di senape gettato nella terra, poca cosa è il pugno di lievito nascosto nella pasta, insignificante è il piccolo gregge di fronte alle mandrie sterminate. Eppure anche la pochezza umana e l’apparente insignificanza storica, alla luce della fede, possono diventare albero frondoso, far fermentare una massa, rallegrare un pascolo, riconoscere con serenità che il proprio compito di piccolo gregge, in apparenza più modesto, è di fatto molto più esigente e necessario per il bene di tutti: essere lievito nella società, piccolo seme di nuovi germogli». Per  il card. Martini, in una situazione generale di sbandamento politico su base morale e di debolezza culturale, i cattolici devono vedere non un motivo di mortificazione, ma una grande e provvidenziale opportunità. Non si tratta di fare passivamente buon viso a cattiva sorte, ma di cogliere un’opportunità storica, perché implica la scelta di «un ethos di umiltà, di mitezza, di misericordia, di perdono, di riconoscimento delle proprie colpe anzitutto all’interno della Chiesa». Una Chiesa consapevole della propria condizione di minorità ha infatti «più vivo il senso della testimonianza, coglie meglio le differenze in sé e attorno a sé, è più aperta al dialogo». Ciò di cui c’è bisogno, in un’epoca segnata dalla crisi politica, sociale e morale, non è certo «il lamento che diventa egocentrico e infantile bisogno di rassicurazione esterna», bensì un comportarsi con sobrietà, anche nel parlare, e il «coraggio civile di dire la verità».  Nel discorso di addio a Milano pronunciato nel giugno del 2002, Martini ricorda che il cristiano, destinato a essere collante della società, oggi ha il compito non di erigere barriere insormontabili, ma di «creare piazze nuove tra le case, dove ci siano, nel rispetto reciproco, vere possibilità di intesa tra il fratello, il cittadino e lo straniero», e in un testo significativamente intitolato: “ Che cosa fare in momenti difficili?” Martini scrive che «nessun momento, anche se di transizione o di incertezza, di nebbia e di notte, è fuori dal disegno di Dio» e che «ogni epoca è un tempo di grazia». Oggi crederlo richiede davvero un grande atto di fede, ma la parola di un pastore come l’arcivescovo emerito di Milano è una bella iniezione di fiducia e di coraggio.

 

Per riflettere:

«Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali,quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana.» (Kennedy)

 

"Rivoluzione: l'arte di sognare insieme" (don Tonino Bello)

 

La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fato grossi investimenti edilizi,o commerciali e magari industriali. A me interessa conoscere questa "accumulazione primitiva" del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghie ristoranti a la page. Ma mi interessa ancor di più la rete mafiosa di controllo, che grazie
a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette,sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere.
(Carlo Alberto Dalla Chiesa)


Mi fido della mia professionalità, sono convinto che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva:gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia,facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati. (Carlo Alberto Dalla Chiesa)