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Gen
31
2011

Amore di Gesù nel vangelo di Marco e come Gesù educa i suoi discepoli e noi all' amore. cat. sch 4

Ultimo aggiornamento (22 Febbraio 2011)
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L’amore nel vangelo in modo particolare di marco

Come Gesù ama e forma all’amore i suoi discepoli e come loro lo vivono.

 

Un amore che cerca, un amore che chiama, un amore che cambia

(Mc 1,16-20; 2,13-14; 3,13-19)

Chiama passando nella tua vita, non dall’esterno, ma coinvolto in essa, parte di essa, vivendola con te in pienezza, senza “scartare” nulla. Sono pescatori: lui trasforma ciò che sono, non facendoli diventare altro, ciò che non sono, ma dando nuovo senso, nuova ampiezza, nuovo scopo a tutto il loro essere e a tutta la loro vita.

Seguitemi: Gesù è sempre in cammino per incontrare l’uomo, per essere al suo fianco nella sua realtà e invita l’uomo a mettersi anche lui in cammino per uscire da se stesso e da tutto ciò che lo cristallizza in una situazione, un ambiente, uno stile di vita. Chiama, invita senza costringere, offre senza pretendere, bussa ma non entra se non gli si apre. Sta all’uomo rispondere, ascoltare questo invito e rispondere, lasciarsi provocare e mettersi in movimento per seguirlo.

 

 

Un amore di carne

Stando al numero di guarigioni raccontate[1], si potrebbe dire che l’amore di Gesù ha la caratteristica di liberare e guarire. Libera l’uomo da ciò che gli impedisce di sentirsi creatura amata; guarisce da tutte le ferite che l’uomo fa a se stesso, da quelle che riceve dal fratello a sua volta ferito, che ferisce proprio perché è ferito; ma soprattutto guarisce dal peccato, quella profonda, mortale ferita che tiene l’uomo lontano dalla sua stessa vita, Dio.

Non respinge nessuno, nessuna sofferenza dell’uomo lo lascia insensibile o indifferente. La carne afflitta, martoriata, esausta, dolente dell’uomo, di ogni uomo, è sanata dalla sua carne, che assume in sé ogni dolore e ogni sofferenza e lo porta sul trono della croce, conferendogli dignità regale perché quella stessa carne di­venti il corpo glorioso del Risorto, di ognuno di noi risorto in lui. Gesù permette alla sua capacità tutta umana di commuoversi di muovere la sua potenza divina. Si commuove, prova compassione, e per questo guarisce e libera (Mc 1,41; 6,34; 8,2). Commozione e compassione sono il “motore” della moltiplicazione dei pani (Mc 6,35-44; 8,1-9), prefigurazione dell’eucaristia (Mc 14,22-25). Il suo desiderio di essere carne è così intenso, così profonda la sua ricerca di intimità, che cambia se stesso in alimento che possa diventare, anche fisicamente, parte dell’uomo che se ne nutre.

Nulla è escluso da questo amore che patisce-con, si muove-con, prova tenerezza nelle sue viscere…

È un amore che sazia: pane per ogni fame.

È un amore che non ha dimensioni: si moltiplica e si moltiplica ancora ed è sempre “esagerato”, “fuori misura”. Non teme lo spreco: il di più sarebbe già sovrabbondante… È un amore di carne perché è l’amore dello sposo (Mc 2,18-22; cfr. Is 62,5), capace di attenzioni e tenerezza[2], che fa sua la vita della sposa e la accoglie nella sua vita, consegnandole tutto ciò che possiede (Mc 16,16-18). È un amore fatto di tenerezza, ma anche di passione.

Passione: una parola che colpisce. Passione è l’amore ardente, “di carne”, tra un uomo e una donna, tra lo sposo e la sposa. Passione (Mc capitoli 14-15) è ciò che Cristo ha patito per la salvezza delluomo, è l’amore ardente che l’ha consumato, per il quale non ha trattenuto nulla, donando tutto ciò che possedeva (Fil 2,6-7).

L’amore ardente che tutto consuma: l’incapacità degli amici più cari di confortarlo; il loro tradimento; la loro incapacità di capire nonostante tutto ciò che ha fatto loro vivere, nonostante tutto ciò che ha fatto loro vedere; il peso insopportabile del peccato che lo fa gridare: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34).L’amore ardente, fatto di carne, che fa della sua carne martoriata, vilipesa, oltraggiata, esausta, esposta, crocifissa, l’ultima arma, lo scudo dello sposo a difesa della sposa, l’arma che, nella totale sconfitta, riporta la vittoria e restituisce all’amore ardente la sua carne divenuta gloriosa, con cui si presenta alla sposa per dirle: «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! Tu mi hai rapito il cuore» (Ct 2,13.4,9) perché «forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6) e per questo l’amore ha vinto la morte.

È un amore passionale, geloso (Dt 4,24), esigente: non vuole nulla a frapporsi tra sé e l’amato; vuole un’intimità totale, carne contro carne.

«Fissatolo, lo amò e gli disse […] vendi quello che hai […] poi vieni e seguimi» (Mc 10,21).

È un amore che esclude tutto perché vuole dare tutto, ma è necessario che ci sia spazio per questo tutto donato. È un amore ardente che brucia tutto quello che trova sul suo cammino: un cuore che pulsa e cerca un cuore pulsante, un cuore ardente che cerca un cuore ardente. Un amore nudo, come nudo e vulnerabile e indifeso è quell’uomo sulla croce, come nudo, vulnerabile e indifeso è quel Dio onnipotente che ha voluto per sé l’impotenza dell’uomo per dare carne al suo amore. Seguire Cristo crocifisso significa seguire il Cristo risorto: Cristo è uno solo, così come la croce di Cristo è una sola. Prendere la propria croce significa partecipare alla croce di Cristo. La croce è la strada per la resurrezione: prendere la propria croce significa seguire Cristo sulla strada della resurrezione. Seguire, perché è lui che continua a essere crocifisso, a morire e risorgere per ciascuno di noi, in un gesto d’amore continuo, al di fuori del tempo, che non conosce interruzioni. Prendere la propria croce significa innanzitutto accogliere quella croce che Cristo vive per me, perché io possa risorgere, perché quella croce è la strada che porta me alla mia resurrezione. Gesù è risorto perché ha accettato di morire. Io posso risorgere solo se accetto di morire. Prendere ogni giorno la propria croce significa allora accettare ogni giorno di vivere già ora quel tanto di resurrezione che sono in grado di vivere oggi, passando attraverso quel tanto di “morte” che vi corrisponde. In un certo senso, quanto più mi apro alla “morte”, tanto più mi apro alla resurrezione e la vivo.

Rinnegare se stessi significa permettere all’amore di Cristo di bruciare ciò che mi ostacola in questo cammino verso la gloria della resurrezione, permettergli di “uccidere” l’uomo vecchio (Rm 6,5-11) perché possa nascere quell’uomo nuovo «che si rinnova […] ad immagine del suo Creatore» (Col 3,10). È lasciare che sia lui a guidare la mia vita.La croce è la strada che porta alla resurrezione, la strada che Cristo ha aperto e che mi invita a percorrere con lui per portarmi alla comunione piena con lui e con il Padre nell’Amore.

Essere l’amore

Il rapporto di Gesù con i discepoli è fatto soprattutto di uno “stare”; ancora un amore “di carne” che si nutre di quotidianità condivisa, di cui le parole fanno parte ma non sono l’elemento fondamentale: stanno insieme in casa, a tavola, in barca, sul monte, nei campi, per strada, nel tempio…

Gesù non parla dell’amore, lo vive, lo incarna e fa sì che i discepoli ne facciano esperienza, lo vivano, perché alla fine possano arrivare anch’essi a vivere in prima persona il suo amore “di carne”. E per questo insegna loro l’intimità con lui, lo stare in disparte (Mc 3,7; 3,13-14; 6,31), come lui cerca l’intimità con il Padre (Mc 6,46; 14,32-42). Ad amare si impara sentendosi amati, vivendo l’esperienza dell’amore. E infatti Marco dice che Gesù «ai suoi discepoli spiegava ogni cosa» (Mc 4,34), ma nonostante questo loro non capiscono. Spiega e loro non capiscono, ma non importa perché così facendo Gesù semina in loro amore e quel seme che oggi cade tra i rovi (Mc 4,1-20) misteriosamente domani sarà come se fosse stato seminato nel terreno buono e darà frutto e loro capiranno e sapranno amare, oggi tanto così, domani un po’ di più, fino ad amare come Gesù, dando la vita.  Quel seme germoglia e cresce in te neppure tu sai come, ma l’amore ti lavora e ti trasforma e quando finalmente è arrivato a maturazione, non prima, viene colto (Mc 4,26-29). E infatti, per credere alla più alta espressione dell’amore e riconoscerla come tale, i discepoli devono passare attraverso l’esperienza dell’incontro con il Risorto (Mc 16,20). Senza questa, come riconoscere l’amore nella totale sconfitta, come distinguere l’amore da una stupida ingenuità che non produce altro che fallimento? Eppure Gesù li aveva preparati dicendo loro espressamente e della morte infamante e della resurrezione (Mc 8,31-32; 9,31-32; 10,32-34), ma le parole non sono servite.

Tutta la vita vissuta con Gesù, l’intimità con lui, il quotidiano condiviso, tutto ciò che sembrava passato per sempre è diventato un presente che non può più passare, ormai lo possiedono completamente. Quell’amore che hanno vissuto è entrato in loro e l’incontro con il Risorto lo ha fatto diventare vita anche in loro. Ora sono loro a vivere l’amore di carne di Gesù, sono loro la “carne” del Cristo risorto.

Improvvisamente quella frase assurda pronunciata quel giorno vicino a Betsaida, quando aveva dato da mangiare a tutta quella gente – «voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,30-44) – ha acquistato senso. Eravamo andati là per starcene un po’ solo tra noi e riposarci; avevamo tante cose da raccontargli e lui insisteva sempre tanto perché sfruttassimo ogni occasione per stare soli noi e lui, così come lui spariva sempre per starsene da solo a pregare. Eppure quando ha visto tutta quella gente, come sempre si è fatto coinvolgere. Non era proprio capace di dire no, di ignorare la gente. Gli si accendeva una luce nello sguardo, una luce che ti scaldava dentro…

Adesso sappiamo che quando ci ha detto «voi stessi date loro da mangiare» voleva insegnarci che l’amore diventa cibo, che l’amore nutre chi lo riceve, che si fa pane per poter saziare chiunque ne abbia fame. Che l’amore vero si fa pane, si fa carne e che ognuno di noi è pane, è carne da dare a chi lo cerca. Che l’amore che si fa pane per tutti non finisce mai, perché si moltiplica e ce n’è sempre in sovrappiù.

Adesso sappiamo che ci stava insegnando che quella luce che sempre aveva negli occhi e che ci aveva conquistato era quell’amore che lui sapeva far diventare carne e che ci stava dicendo che anche noi possiamo essere quello stesso amore, che anche in noi può moltiplicarsi senza misura perché è lui che è in noi e in noi, attraverso la nostra carne, continua a guardare ciascuno con quella luce negli occhi, gli occhi dello sposo che ti guardano e ti fanno sentire l’unico, l’amato, l’essere più prezioso, a lungo cercato e atteso, a cui dire: alzati e vieni, tu mi hai rapito il cuore.

 

A quale amore il Signore mi chiama??

Per aiutarti nella riflessione e preghiera.

 

  • Riesci a sentire la presenza di Gesù che cammina accanto a te? Perché? Quali pensi che siano i segni della sua presenza? Cosa puoi fare per “sintonizzarti” sulla sua frequenza?
  • Quale impegno senti che il signore ti chiede per dare successo, gioia, amore, bellezza e ogni cosa buona alla tua vita?
  • Cosa vuoi chiedere a Gesù? Cosa desidera di bello il tuo cuore?
  • Sei convinto che oggi Gesù ti vuole incontrare e che non c’è nessun ostacolo tra te e lui? Prova a stare in silenzio e a lasciar risuonare questa Parola, la sua Parola, dentro di te…
  • Se Gesù ti ama così, cosa puoi fare per vivere questo amore nella tua vita quotidiana? Chiedi a Gesù di sperimentare nelle tue relazioni la sua stessa capacità di amare…

 

 


[1] L’indemoniato di Cafarnao (1,21-28); la suocera di Simone (1,29-31); molti malati e indemoniati (1,32); un lebbroso (1,40-45); il paralitico di Cafarnao (2,1-12); l’uomo dalla mano inaridita (3,1-6); l’indemoniato geraseno (5,1-20); l’emorroissa (5,25-34); la figlia di Giairo
(5,1-24.35-43); le guarigioni di Genesaret (6,53-56); la figlia della donna siro-fenicia (7,24-30); il sordomuto di Sidone (7,31-37); il cieco a Betsaida (8,22-26); l’epilettico indemoniato (9,14-29); il cieco di Gerico (10,46-52).

[2] Accorre ad aiutare i discepoli che faticano remando controvento (Mc 6-48-50); abbraccia i bambini (Mc 9,36; 10,16); si rivolge al paralitico e ai discepoli con il termine affettuoso “figliolo” (Mc 2,5; 10,24).