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Gen
27
2011

Amore e Fallimenti sch-3

Ultimo aggiornamento (27 Gennaio 2011)
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AMORE E FALLIMENTI

 

Siamo fatti per amare. L'amore da la vita e vin­ce la morte: « Se c'è in me una certezza incrolla­bile, essa è quella che un mondo che viene ab­bandonato dall'amore deve sprofondare nella morte, ma che là dove l'amore perdura, dove trionfa su tutto ciò che vorrebbe avvilire, la mor­te è definitivamente vinta» (Gabriel Marcel). Ne siamo consapevoli, anche quando le parole che pronunciamo e i fatti di cui è intessuta la nostra esistenza non sono in grado di esprimere quello che abbiamo intuito e che desideriamo. Ci fanno paura le persone aride, spente nella voglia di amare e di essere amate.

L'amore è irradiante, contagioso, origine pri­ma e sempre nuova della vita. Per amore siamo nati. Per amore viviamo. Essere amati è gioia. Senza amore la vita resta triste e vuota. L'amore è uscita coraggiosa da sé, per andare verso gli altri e accogliere il dono della loro diversità dal nostro io, superando nell'incontro l'incertezza della no­stra identità e la solitudine delle nostre sicurezze.

 

Imparare ad amare

 

Quella dell'amore è la storia più personale del­la nostra esistenza. Riconosciamo i percorsi e proclamiamo gli eventi che la punteggiano. Ma ci troviamo spesso affaticati, stanchi, sollecitati a fermarci al bordo della strada a causa di delusioni e incertezze.

Riconosciamo che nella via dell'amore c'è sem­pre una provenienza, un'accoglienza e un avveni­re. La provenienza è l'uscire da sé nella genero­sità del dono, per la sola gioia di amare: l'amore nasce dalla gratuità o non è. L'accoglienza è il ri­conoscimento grato dell'altro, la gioia e l'umiltà del lasciarsi amare. L’avvenire è il dono che si fa accoglienza e l'accoglienza che si fa dono, l'esse­re liberi da sé per essere uno con l'altro e nell'al­tro, in una comunione reciproca e aperta agli altri, che è libertà.

Tutto questo è difficile. Mille ostacoli attraver­sano il cammino e spesso lo bloccano. Basta uno sguardo al mondo dei rapporti umani, per consta­tare l'evidenza di tanti fallimenti dell'amore, un'e­videnza che appare perfino chiassosa e inquie­tante. Siamo fatti per amare e scopriamo quasi di non esserne capaci. Originati dall'amore, ci sem­bra tanto spesso di non saper suscitare amore.

Perché? Ce lo chiediamo quando la nostalgia di esperienze di amore intense e limpide attraversa la nostra esistenza e colora i nostri sogni. Qualcuno, raccogliendo le parole dalla sua esperienza, sugge­risce ragioni e prospettive di questa fatica di ama­re, tutte, comunque, da verificare in prima perso­na. Sono la possessività, l'ingratitudine e la tenta­zione di catturare l'altro le forme che più comune­mente paralizzano il cammino dell'amore.

La possessività paralizza l'amore perché impe­disce il dono, bloccando il cuore in un avido e il-lusorio accumulo di ricchezza per sé. L'ingrati­tudine è l'opposto della riconoscenza gioiosa. Impedisce l'accoglienza dell'altro e impoverisce l'anima, perché dove non c'è gratitudine, il dono stesso è perduto. La cattura è frutto della gelosia, e insieme della paura di perdere l'istante posse­duto: in una sorta di sazietà illusoria essa chiude lo sguardo verso gli altri e verso l'avvenire. Come superare queste resistenze? Come divenire capa­ci di amare oltre ogni possessività, ingratitudine e prigione del cuore? Chi ci renderà capaci di amare?

 

Rinascere sempre di nuovo nell'amore

 

Abbiamo cercato parole per dire il nostro amore, quello che ci fa nascere, vivere e sperare. Abbiamo dovuto usare parole amare, come delu­sione, fallimento, tradimento, incertezza, chiusu­ra, egoismo. Non tutto è così, per fortuna.

La nostra esperienza di amore sa rinascere. Parliamo di fallimento proprio perché sogniamo esperienze diverse. Sogniamo esperienze nuove perché altri, amici vicini o sconosciuti, ci restitui­scono fiducia nell'amore e sicurezza nella sua vit­toria, nonostante tutto.

Davvero lo scontro tra amore e tradimento mette la nostra esistenza in una condizione di in­quietudine, che scopriamo sempre presente e nuova, anche quando ci sembra d'averla superata e risolta. Nel silenzio del nostro cuore inquieto troviamo una domanda che avvolge tutto il miste­ro del nostro esistere e che si proietta in avanti, anche quando sperimentiamo risposte che sem­brano soddisfacenti.

Soprattutto deve diventare veramente nostra la risposta che ognuno di noi darà a questa do­manda. Ciascuno è chiamato a esprimerla nella sua storia personale e a dire a se stesso le sue buone ragioni per amare e superare le resistenze ad amare a partire dal proprio vissuto. La solida­rietà che ci lega ci spinge però a rompere il silen­zio per farci ciascuno proposta agli altri.

Sì: c'è in noi un immenso bisogno di amare e di essere amati. Davvero, «è l'amore che fa esi­stere» (Maurice Blondel). È l'amore che vince la morte: «Amare qualcuno significa dirgli: tu non morirai!» (Gabriel Marcel). Eugenio Montale esprime intensamente questo bisogno, che è in­sieme nostalgia, desiderio e attesa, nei versi scrit­ti dopo la morte della moglie, dove è proprio l'assenza della persona amata a far percepire l'importanza dell'amore, che vive al di là di ogni fragilità e interruzione:

 

Ho sceso, dandoti il braccio,

almeno un milione di scale

e ora che non ci sei

è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve

il nostro lungo viaggio.

 

Il mio dura tuttora,

ne più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

 

Ho sceso milioni di scale

dandoti il braccio

non già perché con quattr’occhi

forse si vede di più.

Con te le ho scese

perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille,

sebbene tanto offuscate,

erano le tue.

 

In questo bisogno di rinascere sempre di nuo­vo nell'amore ci sembra riconoscibile una nostal­gia: quella di un amore infinito...

 

Unzione di Betania:

«Mentre Gesù si trovava in Betania, in casa di Simone e il lebbroso, gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa. I discepoli, vedendo ciò, si sdegnarono e dissero: "Perché questo spreco? Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!". Ma Gesù, accortosene, disse loro: "Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete. Versando quest’olio sul mio corpo lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei"».

Gesù, volendo definire l’azione della donna, che è criticata dai discepoli, la chiama «opera bella». Il testo italiano fa leggere: «un’azione buona». Il testo greco dice: «opera bella», degna dell’uomo, in cui l’uomo si esprime al meglio. Potremmo anche dire opera d’amore.Le opere belle non sono le opere esteriori – come appunto preghiera, digiuno, elemosina – bensì quelle descritte nello stesso capitolo 5: le beatitudini. Opera bella è l’essere poveri, lo scegliere di non servire al denaro, l’essere di cuore semplice (i puri di cuore), l’essere operatori di pace. Il gesto di questa donna appartiene dunque non tanto alle opere efficaci bensì alle opere belle che qualificano la persona, così come le beatitudini sono atteggiamenti vissuti dalla persona.


Un’opera inaspettata quindi, e originale, creativa. Ha la bellezza dei gesti umani che non sono semplicemente adempimenti di leggi oppure risposte a esigenze di efficienza ma sgorgano dall’intimo della persona che li compie. Se la donna avesse chiesto consiglio le avrebbero detto che era inutile versare quell’olio, che non ce n’era bisogno.

È anche un gesto gratuito, e totale, esaustivo. Gesù nel brano parallelo dell’evangelista Marco spiega: «Questa donna ha fatto quello che ha potuto» (cfr. Mc 14,8).

E chi è il cattivo discepolo? Colui che non capisce questi valori, che li critica, che va alla ricerca di gesti clamorosi, dalle risonanze grandiose. Cattivi discepoli sono coloro che non comprendono quella bella opera che è in ogni gesto, quella bella opera che il Padre celeste vede e che vedono gli uomini sensibili al fascino del profumo delle beatitudini evangeliche. Sono opere che rendono lode al Padre perché sono irrefrenabili, mentre di tutte le altre opere si può supporre sempre una seconda intenzione, un motivo non pienamente disinteressato. Le buone opere delle beatitudini sono le opere cristiane – kat’exochèn – senza alcuna aggiunta o smarginatura.

Paragoniamo le diverse frasi.  Cerchiamo di arrivare ad un consenso d’opinione sulla differenza fra l’amore del mondo e l’amore cristiano.  Vogliamo provare a dare qualche esempio specifico dell’amore cristiano?

 

1.       È comune tra noi giovani credere che possiamo sperimentare l’emozione di amore solo se troviamo qualcuno con certe qualità di cui innamorarci (o qualità fisiche o qualità mentali).  L’amore cristiano (“agape” dal Greco) vuol dire amare con affermazione e accettazione nonostante le qualità di cui innamorarsi. (concetto chiave!!!!!!)

 

2.       Facciamo insieme un piccolo sondaggio per scoprire quali risposte sono state scelte come rappresentative dell’amore cristiano.

Proviamo a pensare agli altri come ha fatto Gesù.  Ogni battezzato è figlio di Dio, creato a immagine di Dio e, quindi, meritevole di amore anche quando sembra impossibile da amare.  I media enfatizzano “usare” le persone ed “amare” le cose.  Il pensiero di un cristiano è l’opposto.

L’amore non è solo un sentimento, ma è anche una decisione che prendiamo.  È anche un atto della volontà.

La Bibbia non ci chiede di “godere” il nostro prossimo, ma ci invita ad  “amarlo”. Amiamo gli altri innanzitutto perché Gesù li ama e lo ha dimostrato morendo per noi tutti.  Se amiamo Gesù possiamo amare anche gli altri del suo amore.

1 Giovanni 4:7-21

L'amore di Dio e l'amore fraterno

7 Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. 8 Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. 9 In questo si è manifestato per noi l'amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché, per mezzo di lui, vivessimo. 10 In questo è l'amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati. 11 Carissimi, se Dio ci ha tanto amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.
12 Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi. 13 Da questo conosciamo che rimaniamo in lui ed egli in noi: dal fatto che ci ha dato del suo Spirito. 14 E noi abbiamo veduto e testimoniamo che il Padre ha mandato il Figlio per essere il Salvatore del mondo. 15 Chi riconosce pubblicamente che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio. 16 Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore; e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. 17 In questo l'amore è reso perfetto in noi: che nel giorno del giudizio abbiamo fiducia, perché qual egli è, tali siamo anche noi in questo mondo. 18 Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi chi ha paura non è perfetto nell'amore. 19 Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo.
20 Se uno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. 21 Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello.