CATECHESI ADOLESCENTI
Alla ricerca della vera felicità.
1)Ogni giorno cerco di raggiungere una felicità nella quale non sono solo io colui che ne trae beneficio, bensì anche il prossimo perché per me rendere felice il mio prossimo mi fa sentire realizzato.
2) Per me la felicità consiste nella felicità del prossimo ed in quella personale e, per raggiungere questi obiettivi, cerco di fare il possibile per rendere soddisfatto il mio prossimo e, facendo ciò, rende felice ed appagato anche me.
3) io nella vita faccio delle scelte e le faccio perché penso che sia giusto volere la propria felicità e, se con queste scelte si può anche aiutare il prossimo, è più bello fare queste scelte; io credo che se faccio del bene al prossimo rendendolo felice, io mi sento felice per aver compiuto un gesto in favore di un altro.
«BEATI GLI AFFLITTI»
Le beatitudini, nel racconto evangelico di Matteo, si riferiscono, per lo più, ad atteggiamenti che l'uomo cerca di esprimere: la povertà di spirito, la mitezza, la misericordia, la pace, la purezza di cuore, la fame e la sete di giustizia. Tuttavia ve ne sono alcune che evocano situazioni non direttamente dipendenti dall'uomo. L'uomo le accetta, le subisce, le patisce; così è per la beatitudine dell'afflizione.
Essere afflitti non è ordinariamente un atteggiamento che noi scegliamo: lo siamo nostro malgrado, a motivo di realtà, di fatti, di condizioni non causati da noi.
D'altra parte, sono moltissimi gli uomini e le donne che nel mondo soffrono.
Per questo ci domandiamo: come mai qualcosa che ci capita addosso e che ci fa del male, che ci affligge, può essere fonte di beatitudine, di felicità, di gioia?
E un grande interrogativo che ne suppone un altro: l'afflizione è davvero una situazione che dobbiamo accettare passivamente oppure possiamo viverla anche come una positività?
Per meglio comprendere le parole di Gesù, partiremo dalla rilettura del versetto evangelico chiedendoci: che cosa vuoi dire 'afflitti' e perché sono proclamati beati? Che cosa vuoi dire che gli afflitti saranno consolati? Passando quindi al momento della meditazione, ci sforzeremo di comprendere la relazione esistente tra la seconda beatitudine di Matteo e la nostra vita.
Gli afflitti consolati
1. «Beati gli afflitti» (Mt 5, 4). Così la traduzione della Bibbia della CEI, mentre quella della Bibbia Interconfessionale dice:
«Beati coloro che sono nella tristezza, perché Dio li consolerà».
Il termine greco penthoûntes comprende sia l'afflizione che la tristezza e richiama più direttamente il lutto, le lacrime che versiamo, ad esempio, per la morte di una persona cara. La versione latina, infatti, parla di coloro che sono in pianto: beati qui lugent. Il senso del vocabolo si allarga ovviamente a tutte le realtà che procurano dolore, sofferenza, amarezza, pena.
Possiamo dunque intendere per 'afflitti' tutti coloro che subiscono una disgrazia, che vivono un dolore personale ma anche sociale, nazionale, politico, religioso.
Chi soffre e fa lutto per una situazione civile o religiosa grave, difficile, penosa, un giorno riderà e salterà di gioia perché tale situazione verrà rovesciata.
La tradizione cristiana, commentando la seconda beatitudine di Matteo, ha sviluppato soprattutto questa afflizione della penitenza, di colui che è dispiaciuto dei suoi peccati, della sua condizione peccaminosa e la detesta inferiormente. Pensiamo, ad esempio, ai santi che hanno passato la vita piangendo per i propri peccati e per quelli di tutta l'umanità.
L'afflizione proclamata come beatitudine nasce, infatti, da uno sguardo contemplativo rivolto al mistero infinito di Dio e insieme dalla considerazione, tenera e compassionevole, sulla fragilità della condizione umana, sulla contraddizione storica dell'uomo.
Possiamo allora comprendere perché gli afflitti sono 'beati'. Beati non in quanto afflitti, non per l'afflizione in se stessa, ma perché, vivendola come atteggiamento positivo, saranno consolati; anzi, interpretando il senso della espressione, 'Dio li consolerà'.
2. «Saranno consolati», Dio li consolerà.
La consolazione è quell'insieme di gioia, letizia, esultanza, vittoria, che riempie il cuore superando e travolgendo le onde dell'afflizione.
«Io consolerò gli afflitti» dice il Signore per bocca del suo profeta. E il Libro del Siracide, richiamando la figura di Isaia ricorda che «con grande ispirazione vide gli ultimi tempi e consolò gli afflitti di Sion» (Sir48,24).
L'azione consolatrice di Dio è sottolineata, oltre che da altri passi del Nuovo Testamento, dal Libro dell'Apocalisse, con parole mirabili: «Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l'Agnello che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7, 16-17).
Le nostre afflizioni e le nostre consolazioni
Quale valore ha la beatitudine dell'afflizione per la nostra vita quotidiana?
1. Quali le cause delle nostre lacrime, della nostra tristezza?
Molti potranno rispondere: sono afflitto da sofferenze personali, nascoste. Infatti, ci sono sofferenze visibili, come la malattia o la perdita di un amico che ci era caro, e ci sono sofferenze morali interiori spesso più pungenti, più profonde, più schiaccianti.
Talora piangiamo per situazioni particolarmente penose che vediamo intorno a noi. Quante lacrime nelle famiglie per momenti difficili riguardanti l'uno o l'altro membro, l'uno o l'altro rapporto deteriorato, sbagliato!
Tutto questo provoca in noi sofferenza e lamentazione. Non sembri strano che la Sacra Scrittura abbia un intero Libro dedicato alle Lamentazioni, attribuito al profeta Geremia che da voce alle sofferenze personali e sociali. Il Libro comincia proprio con le situazioni disastrose della città:
«Ah! come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo! E divenuta come una vedova, la grande fra le nazioni;... essa piange amaramente nella notte, le sue lacrime scendono sulle guance; nessuno le reca conforto» (Lam 1, 1-2).
La Bibbia ci insegna che lamentarsi in presenza del Signore può essere non solo lecito ma salutare e purificante. Forse non abbiamo ancora scoperto il valore di conforto che ha questa preghiera umile di lamentazione.
2. Quali sono le nostre consolazioni?
Certamente a nessun mancano le consolazioni, solo che rifletta con serietà sulla fede che vive. Ci sono in noi consolazioni provenienti dalla speranza di ciò che Dio ci prepara, quando diciamo, come san Paolo nella Lettera ai Romani: «Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rom 8, 18)?
L'Apostolo scrive che non c'è paragone: se pensa alle sofferenze di questa vita si sente abbattuto, ma se pensa alla gloria futura che le spazzerà via, che lo ricompenserà di tutto, allora il suo cuore è stracolmo di gioia.
La speranza cristiana costituisce quindi la prima grande consolazione.
3. Concludo con una domanda concreta: sappiamo lamentarci con Dio prima che con gli altri?
Quando qualcosa ci disturba, noi siamo normalmente portati a comunicarlo con stizza e nervosismo a chi ci sta intorno. Perché non imparare a lamentarcene prima con il Signore, nella fede e nella preghiera, come facevano i profeti, come fanno i santi, come ci insegnano i Salmi?