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Apr
05
2011

Catechesi quaresimale adolescenti- beati gli afflitti

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CATECHESI ADOLESCENTI

Alla ricerca della vera felicità.

 

1)Ogni giorno cerco di raggiungere una felicità nella quale non sono solo io colui che ne trae beneficio, bensì anche il prossimo perché per me rendere felice il mio prossimo mi fa sentire realizzato.

2) Per me la felicità consiste nella felicità del prossimo ed in quella personale e, per raggiungere  questi obiettivi, cerco di fare il possibile per rendere soddisfatto il mio prossimo e, facendo ciò, rende felice ed appagato anche me.

3) io nella vita faccio delle scelte e le faccio perché penso che sia giusto volere la propria felicità e, se con queste scelte si può anche aiutare il prossimo, è più bello fare queste scelte; io credo che se faccio del bene al prossimo rendendolo felice, io mi sento felice per aver compiuto un gesto in favore di un altro.

 

«BEATI GLI AFFLITTI»

 

Le beatitudini, nel racconto evangelico di Matteo, si riferiscono, per lo più, ad atteggiamenti che l'uomo cerca di esprimere: la povertà di spirito, la mitezza, la misericordia, la pace, la purezza di cuo­re, la fame e la sete di giustizia. Tuttavia ve ne sono alcune che evocano situazioni non direttamente di­pendenti dall'uomo. L'uomo le accetta, le subisce, le patisce; così è per la beatitudine dell'afflizione.

Essere afflitti non è ordinariamente un atteg­giamento che noi scegliamo: lo siamo nostro mal­grado, a motivo di realtà, di fatti, di condizioni non causati da noi.

D'altra parte, sono moltissimi gli uomini e le donne che nel mondo soffrono.

Per questo ci domandiamo: come mai qualco­sa che ci capita addosso e che ci fa del male, che ci affligge, può essere fonte di beatitudine, di felici­tà, di gioia?

E un grande interrogativo che ne suppone un altro: l'afflizione è davvero una situazione che dobbiamo accettare passivamente oppure possia­mo viverla anche come una positività?

Per meglio comprendere le parole di Gesù, par­tiremo dalla rilettura del versetto evangelico chiedendoci: che cosa vuoi dire 'afflitti' e perché sono proclamati beati? Che cosa vuoi dire che gli af­flitti saranno consolati? Passando quindi al mo­mento della meditazione, ci sforzeremo di com­prendere la relazione esistente tra la seconda be­atitudine di Matteo e la nostra vita.

 

Gli afflitti consolati

 

1. «Beati gli afflitti» (Mt 5, 4). Così la traduzione della Bibbia della CEI, men­tre quella della Bibbia Interconfessionale dice:

«Beati coloro che sono nella tristezza, perché Dio li consolerà».

Il termine greco penthoûntes comprende sia l'af­flizione che la tristezza e richiama più direttamente il lutto, le lacrime che versiamo, ad esempio, per la mor­te di una persona cara. La versione latina, infatti, par­la di coloro che sono in pianto: beati qui lugent. Il senso del vocabolo si allarga ovviamente a tutte le realtà che procurano dolore, sofferenza, amarezza, pena.

Possiamo dunque intendere per 'afflitti' tutti coloro che subiscono una disgrazia, che vivono un dolore personale ma anche sociale, nazionale, politico, religioso.

Chi soffre e fa lutto per una situazione civile o religiosa grave, difficile, penosa, un giorno riderà e salterà di gioia perché tale situazione ver­rà rovesciata.

 

La tradizione cristiana, commentando la se­conda beatitudine di Matteo, ha sviluppato so­prattutto questa afflizione della penitenza, di co­lui che è dispiaciuto dei suoi peccati, della sua con­dizione peccaminosa e la detesta inferiormente. Pensiamo, ad esempio, ai santi che hanno passato la vita piangendo per i propri peccati e per quelli di tutta l'umanità.

L'afflizione proclamata come beatitudine na­sce, infatti, da uno sguardo contemplativo rivol­to al mistero infinito di Dio e insieme dalla con­siderazione, tenera e compassionevole, sulla fra­gilità della condizione umana, sulla contraddizio­ne storica dell'uomo.

Possiamo allora comprendere perché gli afflitti sono 'beati'. Beati non in quanto afflitti, non per l'afflizione in se stessa, ma perché, vivendola come atteggiamento positivo, saranno consolati; anzi, interpretando il senso della espressione, 'Dio li consolerà'.

 

2. «Saranno consolati», Dio li consolerà.

La consolazione è quell'insieme di gioia, leti­zia, esultanza, vittoria, che riempie il cuore supe­rando e travolgendo le onde dell'afflizione.

«Io consolerò gli afflitti» dice il Signore per boc­ca del suo profeta. E il Libro del Siracide, richia­mando la figura di Isaia ricorda che «con grande ispirazione vide gli ultimi tempi e consolò gli afflit­ti di Sion» (Sir48,24).

 

L'azione consolatrice di Dio è sottolineata, ol­tre che da altri passi del Nuovo Testamento, dal Libro dell'Apocalisse, con parole mirabili: «Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpi­rà il sole, né arsura di sorta, perché l'Agnello che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7, 16-17).

 

Le nostre afflizioni e le nostre consola­zioni

 

Quale valore ha la beatitudine dell'afflizione per la nostra vita quotidiana?

 

1. Quali le cause delle nostre lacrime, della no­stra tristezza?

 

Molti potranno rispondere: sono afflitto da sofferenze personali, nascoste. Infatti, ci sono sof­ferenze visibili, come la malattia o la perdita di un amico che ci era caro, e ci sono sofferenze morali interiori spesso più pungenti, più profon­de, più schiaccianti.

Talora piangiamo per situazioni particolarmente penose che vediamo intorno a noi. Quante la­crime nelle famiglie per momenti difficili riguar­danti l'uno o l'altro membro, l'uno o l'altro rap­porto deteriorato, sbagliato!

Tutto questo provoca in noi sofferenza e lamentazione. Non sembri strano che la Sacra Scrittura abbia un intero Libro dedicato alle Lamentazioni, attribuito al profeta Geremia che da voce alle sofferenze personali e sociali. Il Li­bro comincia proprio con le situazioni disastrose della città:

«Ah! come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo! E divenuta come una vedova, la grande fra le nazioni;... essa piange amaramente nella not­te, le sue lacrime scendono sulle guance; nessuno le reca conforto» (Lam 1, 1-2).

 

La Bibbia ci insegna che lamentarsi in presenza del Signore può essere non solo lecito ma salutare e purificante. Forse non abbiamo an­cora scoperto il valore di conforto che ha questa preghiera umile di lamentazione.

 

2. Quali sono le nostre consolazioni?

 

Certamente a nessun mancano le con­solazioni, solo che rifletta con serietà sulla fede che vive. Ci sono in noi consolazioni provenienti dalla speranza di ciò che Dio ci prepara, quando diciamo, come san Paolo nella Lettera ai Roma­ni: «Io ritengo che le sofferenze del momento pre­sente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rom 8, 18)?

L'Apostolo scrive che non c'è paragone: se pensa alle sofferenze di questa vita si sente ab­battuto, ma se pensa alla gloria futura che le spaz­zerà via, che lo ricompenserà di tutto, allora il suo cuore è stracolmo di gioia.

La speranza cristiana costituisce quindi la pri­ma grande consolazione.

 

3. Concludo con una domanda concreta: sappiamo lamentarci con Dio prima che con gli altri?

 

Quando qualcosa ci disturba, noi siamo nor­malmente portati a comunicarlo con stizza e ner­vosismo a chi ci sta intorno. Perché non impara­re a lamentarcene prima con il Signore, nella fede e nella preghiera, come facevano i profeti, come fanno i santi, come ci insegnano i Salmi?