«BEATI QUELLI CHE HANNO FAME E SETE DELLA GIUSTIZIA.
Procedendo gradualmente nella riflessione sulle beatitudini, ci accorgiamo che la proclamazione della felicità non riguarda precetti fondamentali - onora il padre e la madre, non rubare, non uccidere ecc. -, ma piuttosto situazioni e atteggiamenti che comunemente non sono considerati di benessere.
Esse infatti rivelano un misterioso capovolgimento antropologico che consiste nel passare dall'avere all'essere, dall'essere al dare, dall'avere per sé all'essere per gli altri. Cogliendo la dinamica di questo guado che è importantissimo per l'uomo, possiamo raggiungere il segreto di Dio, e insieme il vero segreto dell'uomo: donarsi.
Meditiamo sulla beatitudine della fame e sete della giustizia.
Gli affamati e assetati di giustizia saranno saziati
«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5, 6).
Anche in questo caso non è facile rendere tutta la ricchezza di significati del testo greco che parla di peinôntes kaì dipsôntes.
Giustizia
Possiamo dire che il vocabolo 'giustizia' indica almeno tre atteggiamenti diversi. Anzitutto la giustizia di Dio, la salvezza finale offerta da Dio a tutti gli uomini. In secondo luogo, la giustizia dell'uomo, le sue opere buone - osservanza delle leggi, elemosina, santità morale -. Infine, la giustizia sociale, i rapporti giusti. Tre atteggiamenti collegati tra loro come la radice, il fiore e il frutto.
La radice è la giustizia di Dio; è lui che ci fa giusti, è la sua grazia che ci rende giusti.Il fiore sono le opere buone secondo la volontà di Dio.
Il frutto è la giustizia sociale, la solidarietà, la carità, quell'atteggiamento per cui l'uomo non punta tutto sulla propria soddisfazione o il proprio interesse, ma li sottopone all'impegno per la difesa della vita e della dignità del fratello più povero.
Fame, sete, sazietà
Quale di queste tre realtà - la giustizia di Dio, la giustizia dell'uomo, la giustizia sociale - è più specificamente oggetto della fame e della sete che saranno saziate?
Nella Scrittura ricorre spesso l'espressione 'fame e sete', molte volte nel senso immediato del termine: uno che da tempo non ha mangiato e ha assoluta necessità di cibo; uno che si trova nell'arsura del deserto e se non gli viene data acqua morirà.
Fame e sete rappresentano due bisogni primordiali dell'uomo, che lo definiscono nelle sue essenziali necessità fisiologiche, di sopravvivenza.
Proprio per questo evocano un desiderio irrefrenabile, ineluttabile, che non si può soffocare. E nella Bibbia, come pure nella letteratura universale, 'avere fame e sete' significa metaforicamente un bisogno profondo dell'uomo, che chiede di essere appagato.
Nel contesto delle beatitudini, 'fame e sete' significano chiaramente il desiderio ardente di una giustizia che, pur implicando il fiore e il frutto - le opere buone, i rapporti giusti verso il prossimo -, va alla radice: è la giustizia nei riguardi di Dio, la tensione a una vita pienamente conforme alla volontà divina. Gli affamati e assetati di questa giustizia non potranno non essere saziati dal Padre che è nei cieli.
Il messaggio per noi
L'invito che le parole di Gesù ci rivolgono è di desiderare per la nostra vita ciò che è veramente essenziale. Vengono alla mente le invocazioni di quella preghiera, il Padre Nostro, che costituisce il centro del discorso della montagna: «Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà» (cfr. Mt 6, 9-13).
Il cristiano, ciascuno di noi, è sollecitato ad avere fame e sete anzitutto della volontà di Dio; che si compia quanto il Signore ritiene bene e giusto - ci venga concesso quindi anche il pane materiale -, ma specialmente ogni verità e giustizia, perché si realizzi il regno dell'amore di Dio.
Per aiutarvi nella meditazione personale, mi piace recitare il commento di don Luigi Serenthà sulla quarta beatitudine: «Beati quelli che hanno fame e sete di fare la volontà di Dio, cioè che dicono: il mio nutrimento, il nutrimento su cui faccio crescere la mia vita, così come il corpo cresce sul pane e sull'acqua, non è la mia volontà, ma la volontà di Dio. Io ho fame di Dio, ho sete di lui, la sua volontà è punto di riferimento per la mia esistenza. Mi affido a Dio, lui è la mia gioia, ciò che egli mi rivela lo mangio e lo bevo con quella avidità con cui l'assetato e l'affamato bevono l'acqua e mangiano il pane».
Sono parole molto belle, che esprimono il grande, inestinguibile desiderio dell'uomo e la risposta promessa dal Signore a tale desiderio.
Conclusioni pratiche
1. La prima potete metterla in pratica fin da questo momento: recitare lentamente il Padre Nostro, perché ci educa ad avere fame e sete della volontà di Dio. Recitarlo lentamente, soffermandovi a gustarne ogni invocazione, quasi sentendo fame e sete del dono che viene richiesto.
2. La seconda è di mortificare un poco, la fame e la sete fisica. Mortificare la gola per esprimere meglio la fame e sete di Dio e, insieme, per alleviare la fame e la sete dei nostri fratelli poveri di tutto il mondo, affinché si adempia anche in questo modo la parola di Gesù. Coloro che hanno fame di pane materiale e sete di acqua saranno così saziati per la carità dei fratelli che si sacrificano nel desiderio di combattere la povertà drammatica e dolorosa di tante popolazioni della terra.
3. Che cosa mi ha lasciato il percorso fatto sulla felicità fino ad oggi: quella felicità che deve essere atteggiamento della vita e non dura solo un istante?