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Apr
12
2011

Catechesi quaresimale adolescenti. Beati i miti...

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La ricerca della vera felicità.

 

 

«BEATI I MITI»

 

 

La terza beatitudine riguarda la mitezza ed è particolarmente interessante approfondire que­sto atteggiamento che noi oggi riteniamo poco popolare. Il termine 'mitezza', infatti, non solo non è usuale nel nostro linguaggio ma quando lo si impiega intendiamo attribuirgli una certa sfu­matura negativa, confondendolo con debolezza, facile accondiscendenza, oppure con l'impertur­babilità propria di chi si controlla magari per cal­colo, per capacità politica. Talora evochiamo ad­dirittura l'uomo che si lascia facilmente imbro­gliare, che non riesce mai a cavarsela.

 

 

I miti erediteranno la terra

 

«Beati i miti perché erediteranno la terra» (Mt5,5).

1. La parola greca, praeîs che nella Bibbia della CEI è tradotta con 'miti' ha diverse altre tradu­zioni. La Bibbia Interconfessionale preferisce la dizione: «Beati quelli che non sono violenti perché Dio darà loro la terra promessa».

Un esegeta tedesco sceglie un termine che si­gnifica 'coloro che sono cortesi, gentili, affabili, accoglienti, buoni di cuore'. E ancora un esegeta traduce: «Beati i sottomessi».

Non è facile dare un senso preciso alla parola 'miti' perché la lingua ebraica non ha un vocabo­lario simile a quello cui noi tendiamo idealmente, un vocabolario tecnico, dove ogni termine ha un significato preciso e a ogni diverso significato cor­risponde un termine diverso.

L'ebraico conosce una ricchezza di sinonimi, as­sociati gli uni agli altri, proprio per dare una im­pressione globale più che una definizione rigorosa.

Per questo noi comprendiamo abbastanza ge­nericamente che cosa si indica con la categoria dei miti, ma non riusciamo, a partire soltanto dai contesti dell'Antico Testamento, a spiegarla esat­tamente e chiaramente.

 

La parola miti indica forse una situazione sociale sfavorita (i poveri, gli sfortunati, gli oppressi), oppure un at­teggiamento del cuore (gli umili, coloro che non usano violenza, che non sono prepotenti, che usa­no con moderazione dell'eventuale potere, che non prevaricano) ?

Credo che per mitezza si debba intendere la capacità di distinguere la sfera della materia, dove opera la forza, dalla sfera dello spirito, dove ope­ra la persuasione e la verità. Mitezza è la capacità di cogliere che nelle relazioni personali - che co­stituiscono il livello propriamente umano dell'esi­stenza - non ha luogo la costrizione o la prepo­tenza ma è più efficace la passione persuasiva, il calore dell'amore.

L'uomo mite secondo le beatitudini è colui che, malgrado l'ardore dei suoi sentimenti, ri­mane duttile e sciolto, non possessivo, interiormente libero, sempre sommamente rispettoso del mistero della libertà, imitatore, in questo, di Dio che opera tutto nel sommo rispetto per l'uo­mo, e muove l'uomo all'obbedienza e all'amore senza mai usargli violenza.

La mitezza si oppone così a ogni forma di pre­potenza materiale e morale; è vittoria della pace sulla guerra, del dialogo sulla sopraffazione.

Mi piace riportare l'opinione di un illustre esegeta, il padre Jacques Dupont, di cui condivi­do la conclusione: «La mitezza di cui parla la be­atitudine non è altro che quell'aspetto dell'umil­tà che si manifesta nell'affabilità messa in atto nei rapporti con il prossimo. Tale mitezza trova la sua illustrazione e il suo perfetto modello nella per­sona di Gesù, mite e umile di cuore. In fondo, tale mitezza ci appare come una forma della cari­tà, paziente e delicatamente attenta nei riguardi altrui».

 

2. Comprendiamo allora perché Gesù promet­te ai miti il possesso della terra. Eredità della ter­ra che è sicuramente la terra dei santi in cielo, ma che non è priva di riflesso sulla terra di oggi chia­mata a lasciarsi modellare dalla forza del regno già presente in noi.

La rinuncia alla vendetta, infatti, la rinuncia alla sopraffazione, alla prepotenza, fa trovare al cri­stiano, in ogni occasione, la via per aprire spazi alla misericordia della verità, alla costruzione di un nuovo volto della società.

Naturalmente, la mentalità evangelica della mi­tezza matura soltanto lentamente nel singolo cri­stiano e ancora più lentamente nell'esperienza dei popoli. Bisogna essere passati per molte prove, delusioni, amarezze, sconfitte, per capire che la violenza di ogni tipo, compresa quella morale e ideologica, è alla fine perdente.

 

Andare d'accordo

 

Vi offro tre spunti di riflessione, che vi per­metteranno di cogliere il messaggio permanente della parola di Gesù.

 

1. Con la beatitudine dei miti Gesù condanna chiaramente ogni forma di prepotenza. La pre­potenza non paga. Quindi i prepotenti, che si ri­tengono felici in questo mondo, sono in realtà degli sventurati, perché il loro potere è logorato alla radice ed essi cadranno come un vaso di ar­gilla che viene frantumato.

 

2. Il messaggio di Gesù promuove il corag­gio della non violenza. I Padri della Chiesa, che hanno commentato a lungo il brano evangelico delle beatitudini, vedono la mitezza proprio come la rinuncia alla violenza, alla vendetta, allo spirito vendicativo.

 

3. E importante coltivare in tutto lo spirito di dolcezza, di mitezza e di pace. Mitezza è anche capacità di credere nella forza trasformante dell'amicizia.

 

 

Tre propositi

 

1. Non voler aver sempre l'ultima parola nelle discussioni.

Talora non ci rassegniamo a che sia l'altro a concludere il discorso e vogliamo per noi la bat­tuta finale. Sarebbe bello imparare la beatitudine di chi, a un certo punto, sa tacere nell'umiltà la­sciando che l'altro magari prevalga, perché non è poi così importante spuntarla.

 

2. Non rispondere al male col male.

Per 'male' non intendo soltanto le violenze fi­siche ma pure quelle piccole malignità della con­versazione a cui noi siamo spesso tentati di ri­spondere con altrettante piccole cattiverie; tutte le insinuazioni a cui vorremmo rispondere con altrettante insinuazioni; tutte le piccole allusioni offensive, che infiorano purtroppo il nostro par­lare e quello altrui, a cui siamo tentati di replicare con altre allusioni offensive.

Tutto ciò va contro la mitezza cristiana, con­tro lo spirito di pace, contro l'umiltà vera; offu­sca il cuore, aggrava la mente, impedisce la pre­ghiera, riempie la fantasia di emozioni confuse e pesanti.

Spesso non sappiamo pregare proprio perché non ci siamo trattenuti dal dire, nella conversa­zione, una malignità, dal fare un'allusione pun­gente, dal dare un giudizio che ci fa apparire superiori agli altri. In tal modo, non godremo mai della beatitudine della mitezza.

 

3. Infine, per vivere la mitezza, occorre una grande attenzione a coloro che sono più deboli, che sono dei miti per natura perché incapaci di difendersi.